Osimeh punisce l’abulia della Roma
Roma - Napoli 0 - 1
(AGR) Ci può essere pure che ne prendi sette a casa tua (però lì si parla di superiorità netta e indiscutibile dell’avversaria sotto tutti i punti di vista: tecnico, tattico, fisico…). Alla Roma, quella disavventura è stata già vissuta (Bayern Monaco), anche lontano dall’Olimpico (Manchester United e, in misura leggermente minore, ‘solo’ sei, con il Bodo Glymt), con le prime due, si parlò di strapotere fisico avversario, della netta superiorità dal punto di vista strategico, tattico, tecnico e qualitativo, mentre, a giustificazione delle sberle norvegesi, furono tirate fuori le pessime condizioni del campetto di plastica in cui la Roma si trovò a giocare e la generale andata in confusione della squadra, segnatamente della difesa, con l’ottimo Calafiori a fare, ingiustamente, da capro espiatorio per la debacle subìta a pochi chilometri dal Circolo Polare Artico, tant’è che a fine stagione emigrò.
Il ‘si vince e si perde in undici’ non valse per l’ex primavera, essendo solo lui a pagare per quella batosta che, viceversa, avrebbe dovuto essere ‘lavata’ con una cacciata generale. Con il Napoli, bisogna parlare di cosa ben diversa: qui non c’è stato strapotere azzurro, tale cioè da mettere la Roma alle corde fin dai primi minuti di gioco e per tutta la partita, né una sua netta superiorità tecnico tattica: qui c’è stato che, semplicemente, la Roma non ha giocato a livelli standard quantomeno accettabili. E’ senz’altro ipotizzabile che quel suo irritante non-giocare, fatto di tacchetti e tocchetti, buona parte della tifoseria non l’abbia digerito, giudicandolo, anzi , come una vera e propria mancanza di rispetto nei suoi confronti come in quelli di coloro che decretano con la loro fedele presenza, il sold-out dell’Olimpico. Ora, non avendo la possibilità di avere a disposizione dati di spogliatoio certi, cosa che invece hanno i gossippari televisivi – ce ne sono, ce be sono eccome! -per forza di cose, si deve basare il commento su quanto visto. Roma-Napoli è stata una brutta partita che si è noiosamente trascinata avanti fino al triplice fischio di chiusura, senza clamorosi sussulti. Col trascorrere dei minuti, tra coloro che assistevano alla partita allo stadio, da casa o al bar, andava maturando la certezza che il risultato finale del match sarebbe stato uno 0-0 da dimenticare, uno squallido pareggio a reti bianche, figlio di una squallida partita piena di errori, che a conti fatti sarebbe stato accettato da entrambe, forse con qualche brontolio e mugugno da parte del Napoli, visto che gli azzurri avevano fatto molto di più dell’avversaria, erano stati più intraprendenti nel cercare il goal, più dinamici per tutta la durata della gara, pur adagiandosi per larghi tratti di essa sul comodo tran tran dell’in fondo siamo in trasferta e guadagnare un punto su questo campo non è poi una bestemmia.
La scempiaggine di quel tic-tac ha un senso se stai vincendo quattro a zero e sei a cinque minuti dalla fine, non quando ti servono i tre punti per agganciare l’altissima classifica e devi attaccare e attaccare per arrivare al goal, che con le squadre tipo Napoli neanche ti basta mai… Al cospetto dei sessantamila e passa dell’Olimpico, presente anche una nutrita schiera di tifosi dell’avversaria, la Roma ha disputato la partita-fotocopia di quella con l’Atalanta, uscendone, come contro i nerazzurri, sconfitta. Come contro i bergamaschi, la Roma ha tirato in porta forse due, tre volte, eventi occorsi nella ripresa perché nel primo tempo i giallorossi non ne hanno effettuato alcuno, a differenza dei napoletani che, invece, guardinghi, sì, ma pronti ad azzannare, più volte si sono fatti vedere ai venti metri giallorossi, senza mai riuscire, a metterla dentro, fortunatamente per i giallorossi. La tenuta della difesa romana: era questo che induceva la certezza del pareggio a reti bianche, sebbene Cristante continuasse a perdere palloni, a sbagliare passaggi anche corti, a tratti apparire persino fuori ruolo, Pellegrini perseverasse in giocate che magari fanno scena, ma alla squadra servono poco, intestardendosi in tocchetti e tacchetti, invece di giocare da mezzala vera.
Pellegrini, lo abbiamo scritto più volte, è un ottimo giocatore, con un vasto e notevole repertorio tecnico che ne fa un giocatore di indiscutibile qualità, tale da fare invidia ad altri suoi colleghi militanti nei ben noti squadroni che in Europa spadroneggiano da tempo: i soliti noti, per capirci. Ma là, in quegli ensemble, a volte calcisticamente inavvicinabili, accanto al faro c’è sempre il guardiano che all’occorrenza districa il ginepraio che ostacola i movimenti del faro. Nella Roma, Pellegrini, il faro, deve fare da solo, e Cristante non sembra adatto a fare da guardiano, avendo anche lui una personalità più da mezzala che da mediano gregario. Pellegrini, insomma, per dispiegare tutta la sua personalità e talentuosità avrebbe bisogno di uno scudiero, chiamiamolo così, che, gravitando costantemente nella sua orbita, gli consentirebbe finalmente di fare la mezzala, evitandogli di portare la croce e cantare allo stesso tempo.
A ben guardare, lo scudiero la Roma già ce l’aveva in casa bell’e pronto, Davide Frattesi, ma poi le ‘oculate’ e ‘strategiche’ manovre di mercato hanno fatto sì che il ragazzo approdasse al Sassuolo e quando a Trigoria si sono accorti della smarronata, hanno cercato di riportarlo a Roma senza riuscirci, vista la richiesta, quaranta milioni, della società sassolese. Volete scommettere che grazie ai ‘maghi’ giallorossi di mercato, il ragazzo finirà a Milano o Torino se non addirittura in Inghilterra o Spagna? E se Pellegrini fosse costretto a restare fuori squadra, chi andrebbe a ricoprire quel ruolo così strategico? Tolto Pellegrini, che, come detto, almeno per il momento mal si adatta al doppio ruolo di mediano d’attacco e di mezzala, si scopre che la Roma non ha autentici e veri meneur de jeu, metronomi che dettino i tempi e i ritmi che una squadra deve tenere: è avendo un centrocampo che funziona, distribuendo cioè i compiti a giocatori di ruolo, non adattati, che si vincono le partite, è da quelle zone che si possono intravedere i corridoi giusti dove infilare palloni e lanciare i compagni verso la porta avversaria, è da lì che vengono dettati i ritmi di gara, vengono suggeriti i temi di gioco, impostate le manovre, partono i palloni giusti al momento giusto.
Naturalmente, ci vogliono gli elementi adatti, non giocatori adattati, ma i Modric, gli Iniesta e gli Xavi Alonso sono perle rarissime, uniche e, almeno per ora, all’orizzonte della Roma non si intravedono arrivi di centrocampisti di quel tipo. Semmai, al momento, il tifoso romanista è costretto, obtorto collo, a vedere certe banalità, certe illogicità, certi errori che non si aspetterebbe mai possano essere commessi da giocatori-chiave. E’ allora, in quei momenti, quando assiste a partite in cui dominano svogliatezza e disamore per la maglia e il gioco è solo un wishful-thinking che il tifoso si rifugia nei ricordi e comincia a fare paragoni e pensare a Falcao e Di Bartolomei, a Boniek e Perrotta, a Di Francesco e Tommasi, tanto per restare al giallorosso, e si chiede come mai certi giocatori siano ancora lì a vestite quella maglia.
Dalla pochezza del centrocampo romanista salverei Camara: questi è un giocatore che possiede grinta, classe, forza fisica e intelligenza tattica e, ora distruttore delle trame avversarie, ora costruttore del gioco della propria squadra, riesce sempre a svolgere i suoi compiti avendo sempre la giusta misura dei tempi e dei modi per svolgerli. Forse l’antico detto latino ‘est modus in rebus’ è nato in previsione del suo arrivo alla Roma. Guardando all’attacco, anche lì, da qualche partita sono dolori, per così dire perché il buon Abraham, almeno attualmente, sembra avere smarrito la via della rete, che abbia perso quella lucidità che gli permetteva di andare via veloce, fintare e piazzarla nel posto giusto nel volgere di pochi istanti.
Forse le voci insistenti di un forte interessamento nei suoi confronti, provenienti da oltremanica, potrebbero avere la funzione di frastornare il ragazzo, metterlo al bivio della sua carriera: se restare alla Roma o, viste le offerte che, se autentiche, appaiono mirabolanti, tali comunque da farne barcollare la certezza di una sua permanenza a Trigoria. Per quanto riguarda Belotti, riteniamo il ragazzo ex-granata ancora ingiudicabile, viste le sue poche apparizioni in maglia giallorossa. Ma il ‘gallo’ è giocatore di sicuro valore e la sua qualità è indiscutibile.
Quanto alla difesa, questo pacchetto avrà commesso pure qualche errore – ma chi non ne commette? – ma resta di valore assoluto, tale cioè da poter competere alla pari sia in Italia che in Europa, con squadre di altissimo valore qualitativo. Vogliamo spendere qualche parola per Smalling, accusato di essersi fatto fregare da Osimeh: certo, le immagini sono chiare e mostrano che l’inglese non è intervenuto per fermare Osimeh, magari con una spallata regolare. A nostro modesto avviso, il comportamento tenuto da Smalling ha una logica: nell’azione che ha portato al goal azzurro, bisogna tenere presente che l’inglese era già stato ammonito, pertanto c’era il rischio molto alto, vista anche la nota severità dell’arbitro Irrati, che il suo intervento, se poco poco non fosse stato ortodosso, avrebbe potuto essere punito con un altro cartellino giallo, il che avrebbe portato all’automatica espulsione del romanista per somma di ammonizioni. Siamo all’82’ e a quel punto, con un uomo in meno, grasso che cola se non ne prendi tre: di fronte hai il Napoli capolista con pieno merito, non una squadra di pizza e fichi.
Smalling ha probabilmente scelto di non intervenire per evitare l’espulsione, consentendo a Osimeh di fare il proprio comodo, cioè non disturbandolo – ma almeno ‘na spintarella potevi dargliela, dai! – e confidando nella bravura di Rui Patricio. Il resto è venuto da sé: Osimeh si sbarazza di Smalling e con un capolavoro balistico insacca. A detta di molti, in occasione del goal forse Rui Patricio avrebbe potuto fare di più. Qualche riflessione sul portiere: di per sé, il pallone che arriva da diagonale può essere letale se calciato in velocità e di potenza o quando il portatore di palla guarda verso l cento dell’area fintando il cross così inducendo il portiere ad uscire verso gli undici meri, e poi, invece, tirare e fare goal a porta praticamente sguarnita. Nella fattispecie, Osimeh, malauguratamente per la tifoseria romanista, ha fatto goal dopo essersi sbarazzato di Smalling abbastanza facilmente (e qui magari ci vorrebbe ben altro che una tirata d’orecchie per il difensore romanista, ma ho già ipotizzato il perché l’inglese non sia intervenuto decisamente…) e, senza voler fare il ‘Marelli’ della situazione né voler nulla togliere al bravo Osimeh, nella realizzazione del goal dell’azzurro non c’è stata né velocità né colpo di genio, ma una grande precisione (ma siamo poi così sicuri che Osimeh abbia tirato in porta o non, piuttosto, che abbia tentato di crossare in area?).
La sconfitta con il Napoli impone qualche riflessione: di certo non compromette il raggiungimento degli obiettivi che la società si è posta per questa stagione, ma sicuramente impone la ricerca di altre strategie, specie nelle partite casalinghe. Sei punti buttati via tra le mura amiche a questo punto del campionato sono già troppi. Non siamo qui a dare lezioni al maestro Mourinho, ma i malumori della strepitosa e ineguagliabile tifoseria giallorossa, che perdona tutto a tutti, si stanno facendo sentire. Magari, in primis, da parte dei giocatori della Roma, fatte le debite eccezioni, naturalmente, ci vorrebbe più rispetto nei confronti dei suoi abbonati e spettatori paganti che ormai ad ogni gara interna dei giallorossi decretano i sold- out riempiendo l’Olimpico, ma anche di coloro che ne seguono le gesta grazie ai media. Ipotizziamo che quelle migliaia e migliaia di fedelissimi, vorrebbero vedere almeno un tiro in porta a partita da parte giallorossa o, a voler essere proprio esagerati, almeno due, magari uno per tempo.