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Malattia renale e diabetica: in Veneto e Friuli-Venezia Giulia

team multidisciplinari, nuove terapie e telemedicina migliorano il percorso di cura del paziente

printDi :: 19 giugno 2024 18:33
team multidisciplinari, nuove terapie e telemedicina migliorano il percorso di cura del paziente

team multidisciplinari, nuove terapie e telemedicina migliorano il percorso di cura del paziente

(AGR) Il confronto tra specialisti determina maggior appropriatezza prescrittiva e maggior aderenza terapeutica del paziente con malattia renale e diabetica, con maggiori probabilità di raggiungere gli obiettivi di cura; riduce inoltre la frammentarietà del percorso di presa in cura e il rischio di polifarmacoterapia e, grazie al teleconsulto, contribuisce a diminuire le liste d’attesa. In questo modo i pazienti beneficiano delle cure migliori in modo più semplice e rapido. È quanto emerge nel corso del webinar organizzato da Motore Sanità che ha visto la partecipazione dei massimi esperti del tema, dal titolo “MALATTIA RENALE E DIABETE, LE EVIDENZE SCIENTIFICHE CHE SPINGONO VERSO L’INNOVAZIONE ORGANIZZATIVA” con focus le nuove terapie SGLT2i e le esperienze in Friuli-Venezia Giulia e Veneto.

La malattia renale rappresenta una tra le patologie cronico-degenerative più diffuse e in progressiva espansione. Nel nostro Paese si contano oltre 4 milioni di pazienti con malattia renale cronica e di questi 50.000 sono in dialisi e 50.000 sono portatori di trapianto di rene. Negli ultimi 25 anni la mortalità da malattia renale cronica è aumentata di oltre il 40%. È stato calcolato che attraverso una attività di prevenzione e diagnosi precoce, la possibilità di ritardare di almeno 5 anni l’inizio della dialisi anche solo nel 10% dei pazienti permetterebbe al SSN di risparmiare centinaia di milioni di euro. L’impatto economico per il SSN è pesante: al costo diretto annuo per un paziente dializzato tra 30.000 euro (dialisi peritoneale) e 50.000 euro (emodialisi) vanno aggiunti almeno altrettanti costi indiretti. Nonostante questi numeri, a causa del suo esordio silenzioso, esiste ancora scarsa consapevolezza della malattia e non esiste una prevenzione efficace e rapida. In Friuli Venezia Giulia e Veneto sono al lavoro team multidisciplinari che, con anche il supporto della telemedicina, rendono più performante il percorso di cura del paziente facilitando l’accesso ai nuovi farmaci, frutto di una revisione dei percorsi assistenziali.

 
Il Dipartimento Specialistico Territoriale (DST) dell’Azienda Sanitaria Universitaria Giuliano Isontina (ASUGI) del Friuli-Venezia Giulia è composto da 4 strutture complesse che forniscono assistenza ai circa 25.000 (8%) pazienti cronici multimorbidi (cioè affetti da più di 2 tra patologie cardiovascolari, pneumologiche, nefrologiche e diabetologiche) che nel 2022 hanno determinato il 60% dei ricoveri cardiovascolari e il 58% dei decessi.  A regime, il DST eserciterà la sua attività su 3 case di comunità hub (Trieste, Monfalcone e Gorizia), con tutta l’attività clinico-assistenziale e strumentale non invasiva erogata quotidianamente dal team medico-infermieristico multidisciplinare integrato, e 6 spoke, in cui l’attività di primo livello sarà organizzata in alternanza tra le 4 strutture.  Come ha spiegato Andrea Di Lenarda, Direttore della Cardiologia Territoriale ambulatoriale ASUGI, il modello organizzativo è quello del case manager prevalente e dinamico con il team medico-infermieristico di una specialità che, in base alle caratteristiche del paziente segnalato dall’ospedale o dal pronto soccorso (“dimissione protetta”) o dal territorio (medici di medicina generale, strutture territoriali, altri specialisti), gestisce il caso avvalendosi, ove indicato, della consulenza ed eventualmente della presa in carico da parte di un altro specialista, rimanendo suo consulente in caso di bisogno. “Il paziente “si muove” all’interno del DST grazie ad una serie di regole condivise e all’implementazione di strumenti di programmazione (agende interne) e comunicazione (cellulare dedicato, piattaforma digitale per teleconsulto sincrono o asincrono) – ha precisato il Dottor Di Lenarda -. Il paziente cronico avanzato in fase vulnerabile (ad esempio nei primi 3-6 mesi dopo la dimissione), può essere avviato ad un precorso di telemonitoraggio domiciliare gestito dal personale infermieristico con la supervisione degli specialisti di competenza”.

Innovazione e sostenibilità sono gli altri due obiettivi che si configurano all’interno del team multidisciplinare e multiprofessionale che vede coinvolti clinici, farmacisti, operatori sanitari e payer: tutto per il bene del paziente. Ne ha parlato lo stesso Stefano Palcic, Responsabile della Farmaceutica convenzionata e per conto, di ASUGI. “All’interno di questo team si cerca di conciliare l’innovazione con la sostenibilità del SSN, da una parte garantendo i nuovi farmaci ai cittadini quindi le migliori cure e, dall’altra, guardando agli impatti generati dall’innovazione sul nostro SSN. È evidente che se i nuovi farmaci riducono anche la spesa di ospedalizzazioni e di visite e in più migliorano lo stato di salute del paziente, possono considerarsi interventi sostenibili per il nostro SSN. In campo diabetologico i risultati sono già evidenti: l’impiego dei nuovi farmaci ci permettono infatti di liberare risorse da investire in altri servizi e silos”. Infine, il farmacista, secondo il dottor Palcic, rappresenta una figura importante, assieme alle altre, per raggiungere gli obiettivi di salute e di eccellenza del nostro sistema sanitario pubblico.

In base ai dati degli ultimi Annali Regionali AMD, in Friuli-Venezia Giulia il 30% delle persone con diabete ha anche una malattia renale cronica, che rappresenta uno dei principali motivi di ingresso in dialisi. “Gli SGLT2-i sono farmaci che oltre a trattare il diabete, hanno un effetto diretto nella protezione dal danno cardiovascolare e renale. Poiché grazie a un approccio multidisciplinare e multiprofessionale, è più probabile che i pazienti accedano precocemente a tali farmaci, è cruciale un’innovazione organizzativa in tal senso” ha spiegato Riccardo Candido, Presidente Nazionale dell’Associazione Medici Diabetologi, Professore di Endocrinologia presso l’Università degli Studi di Trieste e Responsabile S.S. Diabetologia Dipartimento Specialistico Territoriale ASU Giuliano Isontina. “Se i diversi specialisti si confrontano, avremo maggior appropriatezza prescrittiva, maggior aderenza terapeutica da parte del paziente e, di conseguenza, maggiori probabilità di raggiungere gli obiettivi di cura, sia per il diabete, sia per tutte le sue complicanze. Il coordinamento multidisciplinare e multiprofessionale, inoltre, riduce la frammentarietà del percorso di presa in cura e il rischio di polifarmacoterapia; in più, cosa non da poco, grazie al teleconsulto contribuisce a diminuire le liste d’attesa. In sintesi, i pazienti beneficiano delle cure migliori in modo più semplice e rapido” ha concluso il Professore Candido.

Maurizio Nordio, Responsabile del Registro Veneto Dialisi e Trapianti e Direttore dell’UOC di Nefrologia dell'opedale di Treviso ha snocciolato i dati e ha spiegato sia il ruolo del nefrologo nella gestione multidisciplinare e multispecialistica del paziente renale e diabetico, sia il ruolo della prevenzione. Su poco più di 282.000 diabetici assistiti in Veneto tra il 2014 e il 2019, si riscontravano circa 15.500 soggetti con nefropatia diabetica, pari al 5.5%, al 31 dicembre 2019, di tutti i diabetici circa 5.800 erano deceduti e solo 105 erano finiti in dialisi. Nel corso degli ultimi anni si osserva una progressiva riduzione delle risorse umane in ambito sanitario, in particolare in ambito medico, sia a livello dei medici di medicina generale che specialistico (diabetologi, nefrologi, cardiologi, etc.), questo determina una crescente difficoltà a seguire i pazienti.

“Queste premesse conducono a imporre delle scelte operative – ha spiegato il Dottor Nordio -. L’informatizzazione ormai diffusa in tutti i laboratori potrebbe essere sfruttata per introdurre sistemi anche semplici di alert in caso di presenza di valori alterati di eGFR e albuminuria direttamente al prescrittore degli esami o ancor meglio sistemi sofisticati che identificano il paziente diabetico (dall’esenzione o dalla terapia), valutano il trend dell’eGFR e dell’albuminuria e avvisano direttamente il prescrittore in caso di cambiamenti, riportando anche i trattamenti di prevenzione secondaria della DKD in atto, per arrivare a dei veri e propri DSS (decision support system) che suggeriscono anche quali azioni intraprendere”. “Il ruolo del nefrologo – ha aggiunto Nordio - diventa centrale quando il paziente presenta DKD per la gestione della terapia cardiovascolare e per trattare gli effetti avversi della terapia stessa (es. iperpotassiemia), diventa poi lo specialista che segue più strettamente il paziente in caso di malattia renale progressiva e che quindi coglie più precocemente le variazioni cliniche che richiedono l’intervento degli altri specialisti, nell’ottica di una gestione multidisciplinare”.

A Verona esiste una collaborazione tra la Diabetologia e la Nefrologia che dura da molti anni, come ha spiegato Giovanni Gambaro, Direttore della Nefrologia dell’AOUI di Verona, e la collaborazione interdisciplinare è capillare e molto efficiente. Pressochè tutti i pazienti diabetici, anche quelli con una inziale compromissione, vengono riferiti all’ambulatorio dedicato, condotto da due nefrologi molto esperti. Vengono valutati annualmente circa 1000 pazienti, alcuni, quelli con le forme più avanzate, più volte all'anno. “L'introduzione in questi ultimi anni, addirittura in questi ultimi giorni di nuovi farmaci per la cura della nefropatia diabetica e delle complicanze cardiovascolari molto frequenti in questi pazienti, ha cambiato il nostro orizzonte – ha evidenziato Giovanni Gambaro -. Ora abbiamo strumenti formidabili per modificare la storia naturale di queste patologie. Dobbiamo avvalercene, spesso associandoli, e utilizzandoli il più precocemente possibile per il bene dei nostri pazienti”.

Contro il diabete di tipo 2 e la malattia renale e cardiovascolare la prevenzione primaria (educazione a stili di vita adeguati) rappresenta lo strumento principale per risolvere il problema alla radice. Per quanto riguarda la prevenzione secondaria, come ha spiegato Maurizio Nordio, Responsabile del Registro Veneto Dialisi e Trapianti e Direttore dell’UOC di Nefrologia dell'ospedale di Treviso, essa si riferisce soprattutto alla riduzione delle complicanze del diabete e si basa in ambito nefrologico sul blocco farmacologico del sistema renina-angiotensina e sull’utilizzo degli SGLT2-inibitori. “Considerando l’andamento dell’incidenza dei pazienti diabetici che necessitano di dialisi o trapianto nel mondo Occidentale, si osserva che questa è continuata ad aumentare fino al 2010-2015 per poi raggiungere un plateau. Ammettendo ragionevolmente che questo possa dipendere dal miglioramento delle cure, in particolare dall’introduzione dei RASI (ACE-inibitori e sartani), il loro effetto si è osservato nella popolazione dopo 20-25 anni dal loro utilizzo, per cui è possibile che l’effetto additivo degli SGLT2-inibitori si potrà osservare tra uno, due decenni”.

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