L'amianto corre sui binari...RFI dovrà risarcire 1 milione di euro per la morte di un ex-dipendente esposto alla fibra killer
L’operaio è stato per tutta la sua vita lavorativa a contatto con l’amianto e con un altro terribile cancerogeno, l’olio creosoto. Nella sentenza “il datore di lavoro non ha provato di aver adottato alcuna misura di protezione, né gli accorgimenti di prudenza e le cautele necessarie”
(AGR) di Donatella Gimigliano
Il Tribunale di Roma ha condannato Rete Ferroviaria Italiana a pagare un risarcimento che sfiora il milione di euro alla vedova e ai tre figli di S. P., deceduto per un adenocarcinoma polmonare. L’operaio, diventato negli anni capotecnico e poi dirigente, è stato per tutta la sua vita lavorativa a contatto con l’amianto e con un altro terribile cancerogeno, l’olio creosoto.
La famiglia, dopo il riconoscimento della malattia professionale da parte dell’INAIL per ottenere il risarcimento di tutti i danni subiti si è rivolta all’avvocato Ezio Bonanni, presidente dell’Osservatorio Nazionale Amianto, e agli avvocati Marcello e Consuelo Mascolo.
Secondo il consulente tecnico d’ufficio sarebbe stato proprio il creosoto a determinare l’insorgenza del tumore del polmone e la morte di Passavanti. L’azienda lasciava, infatti, che parti in legno a cui vengono fissati i binari, le traversine, una volta usurate venissero bruciate nelle stufe, non per smaltirle, ma per riscaldare gli operai sia all’esterno che all’interno dei locali. “Quando venivano accesi questi fuochi uscivano dei fumi neri” – dice un testimone. Accertata la sussistenza del nesso causale tra l’attività lavorativa e la patologia che ha causato il decesso del capotecnico il giudice del Lavoro del Tribunale di Roma, Valentina Cacace, ha condannato RFI spa al pagamento, in favore della famiglia di 972.594 euro.
“Provata la nocività dell’ambiente di lavoro l’azienda non ha fornito la prova liberatoria, indicando l’impossibilità di adempiere all’obbligo di sicurezza e informativo per causa a sé non imputabile” – scrive il giudice, che sottolinea – “il datore di lavoro, infatti, non ha provato di aver adottato alcuna misura di protezione, né gli accorgimenti di prudenza e le cautele che sarebbero state necessarie”. All’epoca dei fatti, spiega il ctu nella sua relazione, era nota la nocività della combustione dell’olio creosoto e comunque “l’azienda era tenuta a conoscere la sua pericolosità e non si era attivata in tal senso”.
“Siamo soddisfatti anche perché è stato riconosciuto un qualcosa che non è così noto, operai esposti per anni a cancerogeni, in particolare all’amianto e al creosoto. Siamo contenti anche della tempistica con cui si è conclusa questa vicenda, abbiamo trovato una giustizia attenta e veloce” ” – ha commentato il figlio Mauro.
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