Utilizziamo i cookie per abilitare e migliorare le funzionalita' del sito web, servire contenuti per voi piu' pertinenti, ed integrare i social media. E' possibile rivedere la nostra privacy policy cliccando qui e la nostra cookie policy cliccando qui. Se chiudi questo avviso, acconsenti all'utilizzo dei cookie. Per modificare le impostazioni dei cookies clicca qui

Alzheimer, diagnosticare la malattia tramite un semplice esame del sangue: obiettivo possibile

Individuare la presenza del morbo prima che siano evidenti i segni e, dunque, rallentare la sua progressione intervenendo nelle fasi precoci: una ricerca del team dell’Università dell’Insubria guidato da Luciano Piubelli, Silvia Sacchi e Loredano Pollegioni.

printDi :: 02 febbraio 2021 17:19
team sanitariostudi ricerca

team sanitariostudi ricerca

(AGR) Individuare la presenza del morbo prima che ne siano evidenti i segni e, dunque, cercare di rallentare la sua progressione intervenendo nelle fasi precoci: una ricerca del team dell’Università dell’Insubria guidato da Luciano Piubelli, Silvia Sacchi e Loredano Pollegioni, nell’ambito del laboratorio «The Protein Factory 2.0», in collaborazione con Asst dei Sette Laghi

Identificare la malattia di Alzheimer tramite un semplice esame del sangue, che renderebbe possibile una diagnosi precoce anche in assenza di sintomi: a questo obiettivo ha lavorato un team di ricerca Università dell’Insubria e Asst dei Sette Laghi, con uno studio sperimentale i cui risultati sono stati pubblicati sulla prestigiosa rivista internazionale «Translational psychiatry», del gruppo Nature Publishing.

 
La malattia di Alzheimer è la più comune causa di demenza nelle persone anziane: colpisce circa il 6 per cento delle persone con età maggiore di 60 anni e circa il 20 per cento degli ultraottantenni. Ad oggi la diagnosi richiede diverse valutazioni, ed è possibile farla solo quando i sintomi della malattia sono già evidenti. Purtroppo però è noto che l’Alzheimer decorre sotto traccia, in maniera asintomatica, già da alcuni anni prima di manifestarsi. Lo sforzo per l’individuazione di nuovi indicatori della malattia, facilmente valutabili con un esame del sangue, è utile non solo per contribuire alla diagnosi ma anche, se identificabili già nelle fasi molto precoci della malattia, per intervenire con trattamenti che mirati alla sua progressione.

Il team dell’Università dell’Insubria è formato da Luciano Piubelli e Silvia Sacchi, componenti del laboratorio «The Protein Factory 2.0», guidato da Loredano Pollegioni del Dipartimento di Biotecnologie e scienze della vita. Poi ci sono due docenti Insubria e medici dell’Ospedale di Circolo di Varese: Marco Mauri dell’Unità di Neurologia e Stroke Unit e Maurizio Versino, direttore della stessa Unità. E le due dottorande dell’ateneo Lucia Princiotta-Cariddi, che è anche neurologa dell’Asst dei Sette Laghi, e Valentina Rabattoni.

La ricerca è stata condotta utilizzando la metodica di analisi nota come HPLC chirale (acronimo di High Performance Liquid Chromatography: cromatografia liquida ad elevata prestazione), una tecnica molto sensibile e accurata che consente di dosare quantità molto piccole degli amminoacidi di interesse presenti nel campione (fino a pochi milionesimi di grammo per millilitro) e di distinguere molecole con la stessa composizione ma con una proprietà specifica diversa, la chiralità. Queste analisi sofisticate sono permesse dalla disponibilità, nel laboratorio The Protein Factory 2.0, di enzimi selettivi usati per validare i dati sperimentali.

Spiega il professor Luciano Piubelli: «È noto da tempo che nella malattia di Alzheimer viene alterata la neurotrasmissione, cioè lo scambio di molecole tra cellule del cervello, mediata dalla D-serina, un particolare amminoacido, i cui livelli sono differenti in particolari zone del cervello dei malati di Alzheimer rispetto ad individui sani. I risultati di questo studio confermano che anche nel siero dei pazienti affetti da Alzheimer i livelli di questo amminoacido sono maggiori già ad uno stadio di demenza lieve o moderata e possono quindi costituire un valido indicatore facilmente rilevabile per la diagnosi di questa malattia. Inoltre, l’incremento dei livelli di D-serina è maggiore negli stadi più avanzati della malattia».

Specifica il professor Loredano Pollegioni: «La ricerca non è terminata: il prossimo obiettivo sarà verificare se l’alterazione dei livelli sierici di D-serina sia già riscontrabile in stadi della patologia in cui attualmente la diagnosi è ancora dubbia e se questa alterazione è effettivamente un tratto distintivo dell’Alzheimer rispetto ad altri tipi di demenza senile. Quest’ultimo aspetto sarebbe d’aiuto nell’effettuare una diagnosi differenziale dei diversi tipi di demenza e nel comprendere i diversi meccanismi patologici che stanno alla base della loro insorgenza».

Partecipa anche tu affinche' l'informazione vera e trasparente sia un bene per tutti

 
 
x

ATTENZIONE