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Un viaggio mitico, Un’Itaca chiamata Calabria

La Pega produzione, con la regia di Sergio Basso, gira in Calabria un docu-fim dove si intrecciano sogno e origine, approdo e partenza, specchio di una terra smarrita che cerca il suo Ulisse tra i frammenti del mito.

printDi :: 10 aprile 2025 15:52
Un viaggio mitico, Un’Itaca chiamata Calabria. Foto: Pega Produzione

Un viaggio mitico, Un’Itaca chiamata Calabria. Foto: Pega Produzione

(AGR) Il mito, come l’amore e il ritorno, non invecchia mai. È materia viva, che abita le parole, scivola nei sogni, si nasconde nei gesti quotidiani. Lo sa bene Sergio Basso, regista di Cercando Itaca, che firma un film intimo e avventuroso, sospeso tra il sogno e la realtà, tra Omero e la Calabria grecanica, tra ciò che siamo stati e quello che ci ostiniamo a cercare di diventare.

In sala dal 14 aprile, il film – interpretato da Eugenio Mastrandrea, Giulia Petrungaro, Giorgio Colangeli, Daphne Scoccia, Francesca Della Ragione e altri volti del nuovo cinema italiano – è il primo lavoro della neonata Pega Produzione, guidata da Giuseppe Gambacorta, figura che ha creduto nel valore culturale di un racconto capace di restituire dignità epica al nostro Sud. Un esordio produttivo che non si accontenta di mettere in scena, ma pretende di risvegliare. E lo fa con coraggio, sensibilità e una visione d’autore che merita attenzione e stima.

 
Girato in luoghi che odorano di leggenda e salmastro – Reggio Calabria, Villa San Giovanni, Palmi, Melicuccà, Riace, Pentidattilo, Capo Vaticano, Parco Scolacium, Capo Colonna – Cercando Itaca è un viaggio fisico e mitico, con una protagonista radicata nel presente e un Ulisse che, come nei versi di Kavafis, sembra più intento a vivere il viaggio che a raggiungere la meta. Perché il mito non abita mai l’arrivo, ma sempre l’andare.

Arianna, emigrata abusiva in Germania, torna a casa per l’eredità della nonna: trova solo una capra, ironicamente battezzata Jiulia. Sulla spiaggia, in attesa di un treno per Amburgo, salva un uomo che si presenta come Ulisse. Lo crede folle. Intanto le rubano lo zaino, e con esso ciò che resta del suo fragile equilibrio. Ma qualcosa la spinge a seguirlo. E qualcosa in quell’uomo – un’ironia malinconica, un’epica stanca ma ancora ardente – ci convince che sia davvero Ulisse.

Il film è un inno alla lingua che resiste, ai paesi abbandonati, alle coste che parlano greco e soffrono italiano. È un cortocircuito onirico in cui Arianna smette di scappare e inizia a comprendere. Il Mediterraneo, qui, non è solo mare ma memoria, ferita, sogno da riscrivere. Un paesaggio dell’anima, prima ancora che geografico, dove i fantasmi del passato si intrecciano con le attese del futuro.

Ulisse è alla ricerca di Teagene di Reggio, l’antico ghostwriter di Omero: vuole cambiare il finale della sua storia. Ma forse – ed è questo il cuore del film – ciò che davvero cambia è la storia di chi ascolta. Arianna compie il suo nostos: non verso un luogo, ma verso una verità. E forse è questo che ci resta dei miti antichi: la capacità di riconoscerci, smarriti e desideranti, dentro racconti che continuano a parlarci.

Cercando Itaca è anche questo: una Calabria che smette di essere solo scenario e si fa voce, corpo, anima. Una regione che non è più soltanto contenitore di storie, ma protagonista essa stessa del racconto. E come ogni grande racconto epico, ci ricorda che le domande più antiche – chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo – non hanno mai una risposta sola. Ma sempre, se siamo fortunati, una capra e un compagno di viaggio.

E dietro a tutto questo, lo sguardo visionario di chi ha voluto rendere possibile un’opera di tale respiro: la Pega Produzione, giovane ma già consapevole, radicata nel presente ma capace di guardare lontano. Giuseppe Gambacorta, con Cercando Itaca, ha dato voce a un Sud mitico e moderno, restituendogli il suo posto nel teatro grande del cinema. Una scommessa vinta, perché fondata sulla convinzione più antica e più vera: che i sogni, se abitati con cura, diventano memoria condivisa. E forse, anche un po’, verità.

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